La nostra storia

VtoBadalin, l'artista fondatoreUn giorno passa di qua un signore tedesco che doveva andare a Milano per affari, doveva arredare un hotel a cinque stelle a Zer-matt. Dalla strada vede la nostra pubblicità e, incuriosito, viene a trovarci. Lo faccio accomodare in officina e lo faccio sedere proprio qui, in questo punto, sopra una cassetta della frutta. Prendo il gesso bianco e disegno sul pavimento, a grandezza naturale, il lampadario completo di gocce, così come la mia creatività me lo suggerisce al momento”. Lui si alza e mi chiede: “Che studi ha fatto, lei?”, rispon-
do: “Lo quinto elementare”. “£’ impossibile che uno che non ha studiato, in cinque minuti, possa fare una cosa del genere!”. E’ esterrefatto. Gli piace talmente tanto che ne ordina sei con trenta appliques.Va a pranzo al Cristallo, in attesa che gli prepariamo il preventivo.
Non potevamo assolutamente sbagliare, era quasi una questione di vita o di morte. Ne abbiamo fatti tre: uno con mandorle muranesi, uno con il cristallo di Boemia e il terzo con il cristallo Swarosvki.Tornato dal ristorante, li prende tra le mani, butta via i primi due e punta dritto sullo Swarosvki. Fulmineo estrae di tasca il blocchetto degli assegni e me ne fa uno coi fiocchi: per poco non mi viene un colpo. Mi paga sulla fiducia: incredibile”.”Tro quindici giorni le mando il resto!”.”lo e mia moglie avevamo il morale alle stelle”. Una storia d’altri tempi, di quelle che fanno esplodere l’immaginazione. Patrizia mi racconta la difficoltà del trasporto a Zermatt. Ma chi era quel signore dell’hotel a cinque stelle di Zermatt, un angelo o un grandissimo esperto di lavorazione artigianale? Vito incontra chi legittima la sua bravura e la sua arte: è la svolta della sua vita. Per Renzo Del Ventisette di Milano fa i fusti di Maria Teresa d’Austria, distribuiti in tutto il mondo, restaura lampadari a Prada ed a Trussardi, quelli di Nanni Svampa, di Memo Remigi e quello del suo testimone di nozze, Bruno Lauzi. Lavora per la Francia, per l’Austria, per la Russia, ha richieste dall’Arabia Saudita. Lavora persine per le famosi pipe Brebbia. Mentre sta guidando in autostrada ha un lampo di genio: crea il prototipo del simbolo del DNA, richiesto da un architetto disperato, per una con-
ferenza di oltre trecento studiosi provenienti da tutto il mondo.Vito è così: geniale, preciso, determinato. Nel 1974 l’amico Michele Binetti, presidente della Pro Loco, lo coinvolge nella corsa delle donne il Lunedì dell’Angelo e lui partecipa con grande entusiasmo, ricordando il papa e la sua giovanile passione per la bici da corsa. Nel frattempo i suoi lampadari vengono richiesti da industriali, imprenditori e gente di spettacolo. Lavora sempre con grande precisione, lasciando spazio alla sua fantasia. Ancora oggi, mentre parla del suo lavoro, non riesce a trattenere quell’entusiasmo che è stato il sale della sua vita, mentre intorno fanno coro la moglie Antonietta e la figlia Patrizia, erede di una bella tradizione artigianale. E’ come se il tempo si fosse fermato e quella gioia gli fa dimenticare forse, per un brevissimo istante, la perdita prematura della figlia Michela, morta tragicamente sul Passo Andolla una domenica pomeriggio.
Nella sua vita c’è proprio tutto: amore, gioia, dolore, passione, entusiasmo, sofferenza. La sofferenza, per quanto inaspettata e terribile, è mediata da uno spirito eletto, che affronta ogni attimo della vita come espressione di un grande disegno, forse ancora più grande di quello che aveva fatto a grandezza naturale sul pavimento della sua officina, in quella magica mattina di primavera, davanti a un signore tedesco seduto sulla cassetta della frutta, che osservava incantato la forza creativa di un uomo incontrato per caso, a due passi dal Lago Maggiore, in un piccolo paese chiamato Cittiglio.

Felice Magnani

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